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IL GRANDE VIAGGIO
di e con Giuseppe Cederna


ESTRATTI STAMPA

L’ATTORE AL GOBETTI CON IL MONOLOGO TRATTO DA UN SUO FORTUNATO LIBRO
Come Gozzano, come Moravia, come Pasolini, anche Giuseppe Cederna ha sentito il richiamo dell’India. Vi si è avventurato con alcuni amici nel 1999. Qualche anno dopo, nel 2004, ha raccontato «il grande viaggio» in un libro pubblicato da Feltrinelli; da quel libro ha poi tratto uno spettacolo per narratore e musicisti che, dopo avere girovagato per teatri e festival, è approdato l’altra sera al Gobetti, dove resterà fino al primo gennaio. Dai preparativi all’arrivo alle sorgenti sacre del Gange, «Il grande viaggio» è tutto un camminare, sognare, ricordare. Cederna sembra prenderci per mano e condurci con sé verso la meta desiderata con l’aiuto di mappe, santini, mitologia, epica. Delhi odora di palestra o di accappatoio umido, il paesaggio è di polvere e sporcizia, le acque del suo fiume gelide. Ma poi, a bordo della Land Rover, il paesaggio s’allarga, le strade s’inerpicano, portano in vista dell’Himalaya. E’ il Nord-Ovest. La mano distruttiva dell’uomo si è posata anche su quella grandiosità. Infatti stanno costruendo una diga altissima. I villaggi che l’occhio riesce a cogliere un giorno saranno tutti sommersi. I coniugi Rahuguna si battono da anni contro questa mostruosità. Perderanno. Ma in questo caso l’importante non è vincere: è combattere. Alle origini del Gange c’è anche una strana ragazza israeliana. Vive letteralmente sottoterra. Abita nel luogo più bello del mondo, però al buio. Dice che nel suo cunicolo ha incontrato se stessa, ha conosciuto la felicità perfetta. Ma chiede al visitatore di spedire una mail a sua madre, per dirle che sta bene. Cederna racconta e rivive. Contrabbasso, sitar e sassofono, a tratti, lo aiutano a sognare. Ci avvolge con la sua avventura che ha nella seconda parte i momenti migliori, quando il racconto si anima con l’apparizione di altri personaggi e pulsa di vita affaticata, bellicosa, dolce o semplicemente stramba. Molti affettuosi applausi.
[LA STAMPA, Osvaldo Guerrieri, 28 dicembre 2005]

IL MIO PELLEGRINAGGIO TRA IL GANGE E LA MORTE
Un GRANDE viaggio alle fonti del Gange, un itinerario fra culture diverse ma anche una rara occasione di introspezione. “Piccole cose, racconta Cederna, ma messe tute insieme alla fine è come se avessi seguito un percorso già tracciato: non è stato solo un viaggio tra le montagne himalayane, è stato anche una specie di pellegrinaggio nella storia, nella cultura, nella religione di una civiltà profondamente legata al camminare”.
[LA REPUBBLICA, Alessandra Vindrola, 27 dicembre 2005]

CEDERNA IN SCENA CON LA SUA INDIA
Ha raccontato di essersi messo in cammino come clown e mimo silenzioso, nel teatro di strada, con spettacolo folli e geniali, selvaggi e creativi, esilaranti e puri. Ora Giuseppe Cederna rivive sulla scena “Il grande viaggio”, quello che nel ’99 lo ha reso viandante assieme ad alcuni amici sul suolo e sull’anima dell’India. Una terra gravida di spiritualità, di gioia e di stupori. Che lo abbia segnato interiormente, questa terra, lo si intuisce dal tono con cui ne narra, intimo, lento, quasi sussurrato, come se ogni frase divenisse per lui “una dolcissima vicinanza al sé più profondo”.
“E’ un racconto in presa diretta, senza sosta, attraverso gli odori, i rumori, le sorprese dell’India, le cose belle e le cose brutte, l’emozione di partire….. – racconta lo stesso Cederna – finisce alle sorgenti del Gange con una storia incredibile. Ho preso un tè bollente sotto terra, nella tana di una giovane israeliana che si apprestava a passare il secondo inverno con un amico guru, una specie di contatto con l’Assoluto totale, tra la follia e l’ascetismo estremo”.
[IL PICCOLO, Maria Cristina Vilardo, giovedì 1 dicembre 2005]

UNA TAZZA DI TÈ IN CIMA AL MONDO
Ispirato al suo omonimo libro edito da Feltrinelli, lo spettacolo è un concentrato delle sue strane cronache di viaggi. Viaggi che conducono tutti in India, tra l’Himalaya e le sorgenti del Gange, tra jeep e treni, a piedi o con mezzi di fortuna. Viaggi mescolati, tra scoperte sorprendenti, cultura, storia, epica, traffico, mercati, caos, stupori, dubbi, paure, piaceri e dispiaceri, fragilità e nostalgie.
Un viaggio reale, tra le colline dell’Himalaya e gli orizzonti grandissimi, Nuova Dehli, le grandi città e le sorgenti del Gange. Un viaggio lento in cui man mano che si va avanti il mondo cambia più volte, completamente. Nello spettacolo la parola è come se fosse la strada che ti porta. E la parola è veloce. Il senso è una continua partenza. Più precisamente: arrivi e partenze. E a un certo punto si capisce che il viaggio è anche interiore e piano piano anche un po’ spirituale.
La pièce alterna momenti di grande emozione a quelli di spaesamento, ironia e divertimento.
“Forse è la cosa più bella che ho fatto in questi ultimi anni – confessa lo stesso autore. Sulla scena siamo disposti a semicerchio, io davanti ai musicisti, solo con un tappeto e un piccolo letto di legno da cui parte lo spettacolo. Come nei migliori monologhi, questo semplicissimo appoggio diventa treno, barca, grotta, sentiero verso le sorgenti. Abbiamo le valigie pronte pensando al viaggio che ci aspetta e un po’ anche al ritorno”.
[IL RESTO DEL CARLINO, Paola Gabrielli, giovedì 24 novembre 2005]

VERSO L’INDIA CON L’ANIMA IN VALIGIA
Guardatelo, questo viaggiatore. Nella valigia ha vestiti profumati, ben piegati. Guardatelo e capirete che è appena partito. E guardatelo ora, mentre è in cammino, su un treno, una jeep, con la valigia piena di incontri e una domanda: “Che cosa sto cercando?”. Capirete che è quasi alla meta. Anche se tutto il percorso si svolge in un palcocenico, in teatro. “Nel caos e nei colori di Nuova Delhi aspetti qualcuno che ti faccia da guida. Il viaggio è concepito da noi ma poi arriva qualcuno e lo fa nascere […..] C’è l’emozione di un treno notturno e l’incontro con un cercatore di verità: ha perso la battaglia contro una grande diga e spiega il valore della sonfitta”. Guardate questo viaggiatore, e tendetegli la mano. In questo viaggio, che state facendo insieme, forse scoprirete un’occasione per sentirvi vivi.
[Roberta Martini, La Stampa, 16 marzo 2005]

CARA MAMMA, NELLA GROTTA A 4MILA METRI SI STA BENE E SI MANGIA
Al centro della scena c’è una panca che diventa di volta in volta, barca, letto, marciapiede, bara. E sulla panca – seduto, sdraiato,piramidale, fetale – c’è lui: Giuseppe Cederna, straordinario narratore scalzo di un viaggio epico. Non tanto per lo sbalzo geografico, dalla Valtellina all’Himalaya, quanto per il salto di vita, cultura, odori, sapori che segnano il viaggio alle sorgenti del Gange , il fiume sacro dell’India, compiuto da Cederna che lo ha raccontato nel recente libro Il grande viaggio (edito da Feltrinelli) divenuto spettacolo teatrale nella stesura firmata con Francesco Niccolini. Un monologo teso, avvincente, che ti inchioda su quella stesa panca a immaginare colori, volti, dighe, animali, divinità, afrori, treni, morti, umanità creati dal vortice di parole in cui ti inghiotte il narratore e il fascinoso trio di musicisti che sono con lui sul palco: Nicola Negrini al contrabbasso, Mauro Manzoni al sassofono, Alberto Capelli chitarra e sitar. Il tutto sottolineato, scolpito, da costruzioni di luce (realizzate da Andrea Violato) che moltiplicano, sottolineano, straniano, evocano.[…] In sintesi si tratta della storia del viaggio deciso da Cederna (attore di molti film d’autore, ma per noi soprattutto di Italia-Germania 4-3)in India per raggiungere le mitiche fonti del Gange e quindi il mitico campo base dell’Himalaya. […] La narrazione si srotola così fra mercati per matrimoni e il crematorio dei bambini, mendicanti e taxista. Vita e mitologia […] Ma il momento più intrigante, magico, è l’arrivo al campo base, dopo centinaia di chilometri macinati su una jeep guidata sul filo dei dirupi da una guida perennemente impegnata a fumare hashisc (“no problem, sir!”): qui, in una tana scavata sotto la terra di un grande masso, vive una ragazza israeliana in pantofole che cerca chissà quale verità nel suo eremitaggio con il compagno frikkettone vestito come un benzinaio d’estate. A 4.050 metri d’altezza. E la ragazza chiede a Cederna di mandare una e-mail a sua madre, docente universitaria a Tel Aviv, per dirle che sta bene e che mangia a sufficienza. Ecco, forse la morale del viaggio è qui: nella ricerca della verità e nell’invio di una lettera elettronica alla mamma per dire che, sì, sono in una tana sotto terra, sotto il masso, sotto l’Himalaya ma sto bene e mangio. E allora?[…]
[Alberto Gedda, L’Unità, 20 marzo 2005]

IL GRANDE VIAGGIO IN INDIA
Giuseppe Cederna nella trasposizione teatrale del suo libro
SAVIGLIANO. Raccolto, intenso ed applaudito è stato “Il grande viaggio” di Giuseppe Cederna al Milanollo di Savigliano lo scorso marzo, a cura di Produzioni Fuorivia di Alba. Affiancato da tre strumentisti – Alberto Capelli chitarra-sitar, Mauro Manzoni sassofono e Nicola Negrini contrabbasso – Cederna ha accompagnato per mano il pubblico in quello che è stato il suo grande viaggio nella terra indiana, nella grande madre Ganga, come viene chiamato il Gange, il fiume sacro di quella civiltà. Come il viaggio, lo spettacolo è un cammino in salita progressiva con il pubblico, un itinerario poetico attraverso le parole; un’ascensione simbolica per andare dentro se stessi e non importa quanto in alto si arrivi, ma il modo in cui si arriva. Chi compie un viaggio è qualcuno alla ricerca di qualcosa, inevitabilmente arricchito dagli incontri e dal confronto con popoli e culture differenti. Questo è il messaggio che Cederna vuole lasciare alle platee che lo seguiranno nei teatri d’Italia. Qualche tempo fa, aveva smesso di fare l’attore per dedicarsi interamente al suo nuovo libro dal titolo “Il Grande Viaggio”, cui dedicò ben tre anni: un romanzo che si svolge ai piedi dell’Himalaya, dove lui si trova sospeso tra il dolore della perdita di una persona cara e la meraviglia di quei paesi: ma proprio lì, è stato in grado di trovare il suo mondo; sull’Himalaya si sente finalmente a casa. Ma anche i ricordi ed i sogni hanno il loro peso; tutto quello che scopre e ciò che gli manca. Con ironia, senza paura delle contraddizioni dei pensieri, degli odori e dei dispiaceri, Cederna ci conduce in questa terra meravigliosa, dove la natura si manifesta come ignota e miracolosa – le austere cime, gli dei che le abitano, le acque purificatrici dei fiumi, il passaggio veloce ed impercettibile di un animale. Gli incontri straordinari – con nomadi ed eremiti ed i movimenti che si battono contro le grandi dighe, per la conservazione degli equilibri naturali – la riconquista, grazie al filtro della distanza, di una dolcissima vicinanza al sé più profondo ed alle immagini dell’infanzia – i monti della Valtellina, la casa di famiglia, la figura del padre che torna per un simbolico passaggio del testimone. Attraverso la narrazione, insegna che una battaglia persa non significa essere sconfitti.
Una strana cronaca di viaggio, dove tutto si amalgama, fondendosi in un unicum, narrato sottovoce, sorridendo, faticando, con enfasi e trasporto. Un viaggio convertito in spettacolo, raccontato e rappresentato con sapiente originalità.
[Fiorenza Barbero, La Fedeltà, 4 maggio 2005]