home
home

«Non mi sento assolutamente un leader», avevi detto nell'intervista pubblicata da Musica Jazz nell'ottobre 1996. In seguito, Gabriele, i fatti hanno in parte smentito questa tua affermazione.

Aver progettato miei gruppi con una certa continuità, in questi dieci anni, non contraddice necessariamente ciò che dissi allora. A essi, infatti, non affido la funzione di rap-presentare il luogo esclusivo della mia espressione musicale, conscio del fatto che questa spesso si realizza appieno anche quando mi metto al servizio di musica altrui. Piuttosto, licenziare con regolarità i miei progetti ha per me il senso di stendere delle boe lungo il percorso, di dichiarare posizione e appartenenze. La mia caratteristica peculiare è sempre stata quella di attraversare territori linguistici diversi fra loro; per questo assegno tanta importanza ai percorsi, perché il muovermi tra musiche diverse mi emoziona e mi gratifica più di ogni altra cosa.

Perché rinneghi come un peccato di gioventù il tuo pri mo disco inciso per ía Quadrivium nel 1989? Era tutt'altro che insìgnificante, come opera prima.

Rinnegare è una parola grossa. Solo non lo considero un'opera prima, il che è diverso. Fare un disco a mio nome è per me una travagliata assunzione di responsabilità. Quello, invece, I'ho fatto per gioco, quando non ero ancora pronto, e mai avrei immaginato che avrebbe rappresentato (come poi è stato) il punto di svolta della mia vita.

Comunque ti ritieni soprattutto un interprete. Trovi dìfferenze sostanziali nell'affrontare l'interpretazione di una cornposizione di Cage, di un chorô di Pixínguìnha, di uno standard di Monk o di un brano scritto da te?

Rispondo a questa domanda con due sole parole, apprese proprio dall'energia che circondava Cage: emozione e rigore, dove il rigore è il mezzo e I'emozione il fine. Tutta la musica è uguale, se riusciamo ad avvicinarla in questo modo.

Oggi ti capita ancora di fare concerti di musica ciassica o contemporanea?

Ho interrotto I'attività ciassica per anni, ma proprio in questo periodo sto prendendo coraggio e sto ricominciando. Ho collaborate di recente con istituzioni e musicisti «illuminati», che si prendono il rischio di proporre nell'ambito accademico progetti di avvicinamento tra i due mondi. È cominciato con due serie di concerti da solista con I'lstituzione sinfonica abruzzese, che hanno rappresentato per me un momento decisivo per rompere gli indugi. Quando Mario Brunello, uno dei pìù grandi violoncellisti del mondo, mi ha commissionato un lavoro per I'Orchestra d'Archi Italiana chiedendomi poi di interpretare con lui, Lucchesini e Rizzi il Quatuor pour la fin du temps di Messiaen, sorprendendomi di me stesso ho accettato. Si è trattato di una tappa fondamentale per la mia storia musìcale, come un cerchio che si chiude, un traguardo raggiunto, un nuovo inizio.


In generale, mi sembra che oggi ci siano segnali di apertura tra il mondo della musica classica e quello del jazz.

È un fatto che il luogo dove mi sento più a casa sia proprio quell'area di confine fra la musica erudita europea e le musiche di tradizione afroamericana. Inoltre, una cosa che mi gratifica moltissimo è l'attenzione che il mondo del clarinetto classico riserva al mio lavoro; viene cioè riconosciuto lo sforzo che ho sempre fatto per innovare la tecnica dello strumento, per renenderlo utile all'esecuzione di istanze espressive provenienti provenienti da alrti linguaggi senza però rinnegare la sua tradizione colta, dalla quale comunque provengo. I segnali di interesse che la fazione più progressista della musica classica lancia al nostra mondo costituiscono I'elemento vero di positività, in un momento in cui la musica di qualità in Italia se la passa vera mente male.


Hai in repertorio anche molti brani tuoi. Come affronti e finalizzi la composizione?

Composizione è una parola che per chi come me è cresciuto studiando Brahms e Mozart contiene una nozione architettonica estranea alla musica che gravita attorno al jazz, lo non compongo, non costruisco grattacieli o cattedrali di pensiero musìcale, tutt'al più capanne di fango in cui metto però tutta I'emozione (e il rigore) di cui sono capace; per questo scrivo pochi pezzi e con grande pudore, pezzi che però sono di solito molto «scritti», predeterminati.


Nella prima metà degli anni Novanta hai praticato I'improvvisazione radicale con il quartette Focus Pocus, completato da due musicisti bavaresi e da un austriaco. Negll ultlmi dieci anni hai avuto analoghe esperienze?

L'improvvsazione libera è un'esperienza utilissima nel bagaglio di un musicista: è un grande divertimento, e un'oc-casione per mettere alla prova la propria capacità di ascol-to, di reazione e di controllo della forma. Non ho mai aderito però all'ideologia dell'improvvisazione radicale, che negli anni Settanta ha indubbiamente avuto un ruolo storico fon-damentale, ma che oggi ha perso la sua aderenza storica e molto della sua carica creativa.


Una delle tue collaborazioni più importanti e continuative è stata quella con Rabih Abou-Khalil, documentata dalla Enja: cosa ne dici?

Quelli con Rabih sono stati anni di grande divertimento, segnati da una grande fatica, dovuta alla mole di lavoro e al continuo viaggiare, ma anche da una grande leggerezza nei rapporti umani. In realtà tutte le centinaia di collaborazioni che ho avuto fin qui sono state importantissime per me, nessuna esclusa. Un incontro musicale che ha costituito una vera e propria deflagrante scoperta, una fonte di enorme ricchezza artistica e umana è stato senza dubbio quello con Guinga. L'incredibile naturalezza e profondità della sua musica, la purezza del suo approccio e il ruolo centrale che egli attribuisce all'emozione a tutti i livelli del processo artistico hanno cambiato profondamente iI mio atteggiamento nei confronti della musica e del lavoro di musicista.


A parte poche eccezioni (per esempio il tuo «Latakia Blend» della Enja), sei sempre stato un fedelissimo della Egea, tanto da diventarne uno dei pilastri. Cosa contraddistingue la visione estetica e il metodo di lavoro di questa etichetta?

Egea è senza dubbio una realtà che ha rimescolato le carte della discografia del jazz in Italia, e per questo riscuote lusinghieri consensi e riconoscimenti (soprattutto all'estero) accanto a fiere avversioni (soprattutto in Italia). È un dato di fatto che nel momento più difficile, commercialmente parlando, che il supporto discografico abbia conosciuto nella sua storia, il progetto E-gea dimostri la validità della sua filosofia. Quello che ho riconosciuto nell'Egea fin dagli esordi, infatti, è iI suo essere non semplicemente una realtà imprenditoriale, ma piuttosto un vera e proprio progetto ad ampio raggio, che implica una riflessione at-tenta e una riorganizzazione di aspetti molteplici, che vanno dalla definizione della poetica della musica alla filosofia di registrazione, dalla costruzione di circuiti distributivi ad hoc alia strutturazione del rapporto con i
musicisti di scuderia. Mi sembra che questo ragionare sui tempi lunghi, anziché aderire alla logica imperante dell'usa e getta, sia anche un assunto per così dire "politico" chemeriti, comunque la si pensi, una valutazione attenta. Inoltre I'inserimento, negli ultimi anni, di nuove forze sia nel settore commerciale sia in quello tecnico-audio ha innalzato notevolmente la professionalità e la qualità complessiva della struttura.


Sei sempre stato interessato anche ad altre espressioni artistiche. Ci puoi parlare della tua recente esperienza editoriale assieme a Erri De Luca e Gianmaria Testa?

Con Erri e Gianmaria condivido un tavolo d'osteria, che abbiamo portato in giro nei teatri di mezza Italia, raccontando I'invincibilità di chi non si stanca di lottare contra le ingiustizie del mondo, contra le cause perse in partenza. Prendiamo a modello la figura di Don Chisciotte per demolire il mito moderno del «vincente» a tutti i costi. Un'esperienza profondamente emozionante, frutto dell'intelligenza e passione della Produzioni Fuorivia di Paola Farinetti, un'altra realtà italiana che esplora i confini tra i circuiti tradizionali.


Cosa ci puoi anticipare delle prossime uscite discografiche?

Vorrei menzionare il mio nuovo Cd, in uscita nel prossimo autunno. Ne sono entusiasta: si chiamerà «Canto di ebano» e vede la partecipazione dei meravigliosi Peo Alfonsi alla chitarra, Salvatore Maiore al contrabbasso e Alfred Kramer alla batteria.