UN
BALLO LISCIO
con Riccardo Tesi ( organetto diatonico), Patrick
Vaillant ( mandolino e voce), Maurizio Geri
( chitarra e voce), Pietro Leveratto ( contrabbasso),
Claudio Carboni ( sax ), Gabriele Mirabassi
( clarinetto), Ettore Bonafé ( vibrafono
e percussioni), Quartetto Ares ( archi)
ESTRATTI
DI RASSEGNA STAMPA 2001-02- 03
“ LE BOLLICINE DEL LISCIO”
di Guido Festinese
da “IL MANIFESTO” - 02 gennaio 2003
“
Con leggerezza e mobilità intelligente, come pensava
Italo Calvino…..; qualche giorno fa un pubblico davvero
numeroso e motivato ha potuto assistere ad un concerto non solo
bello ed impeccabile, ma costruito come una sapiente lezione
di storia senza pedanteria. Sul palco c’era Riccardo Tesi,
signore dell’organetto diatonico e, ospite, Gianmaria
Testa, il cantautore piemontese sempre più presente in
situazioni sonore al crocicchio fra jazz, sapienza narrativa,
delicatezze cameristiche ed ironiche. Un Ballo Liscio è
un’indagine a tutto campo su quei musicisti che, a partire
da fine Ottocento, diffusero in Italia i nuovi <<balli
di coppia>> borghesi. Tesi si è portato sul palco
il quartetto d’archi classico Ares, ed un’organico
misto aperto ad ogni influenza che comprendeva buona parte del
miglior jazz italiano, e buona parte dei migliori ricercatori
del folk.
E la chiusura era nel segno di Rosamunda, vortice swing e <<liscio>>
: ma con tante , tante bollicine di aggraziata ironia”.
“
GIANMARIA TESTA SEDOTTO DAL <<LISCIO>> ALLA FRANCESE”
di Marco Mangiarotti
da “IL GIORNO” - 23 dicembre 2002
“
Gianmaria Testa ospite nel Ballo Liscio. Un’idea che parte
da lontano , quella del Ballo Liscio, dal revival francese del
Paris Musette. Così Riccardo Tesi ha coinvolto ancora
una volta jazzisti come Gabriele Mirabassi ( clarinetto), Maurizio
Geri ( chitarra), Claudio Carboni ( sax), uno che il liscio
lo conosce molto bene. Il mandolino di Vaillant e il contrabbasso
di Piro Lveratto. Strumenti del folclore ed archi, per un viaggio
non solo filologico nel genere, dalle origini ad oggi, con le
incursioni del repertorio contemporaneo di Testa. E’ un
progetto di gran classe. Invece di vergognarsi del liscio, Tesi
ha preso il toro per le corna e l’ha guardato negli occhi.
Senza paura, con quattordici musicisti in scena”.
“ TESTA RISCOPRE IL LISCIO: <<E’ il nostro
blues>> ”
di Armando Caruso
da “ LA STAMPA” - 22 dicembre 2002
“
Il ballo liscio è, come l’operetta, una passione
non solo italiana, ma mitteleuropea : dai ballabili casalinghi
alla nobilità straussiana. <<Ballo Liscio>>
è il titolo che Riccardo Tesi, amico da sempre di Gianmaria
Testa, il cantautore ferroviere – ha messo in scena ieri
sera, con successo, al VI Festival Internazionale di Mandolino
di Varazze. Successo prevedibile con una banda di campioni :
da Riccardo Tesi all’organetto diatonico, a Patrick Vaillant
al mandolino e voce; da Maurizio Geri alla chitarra e voce a
Piero Lveratto al contrabbasso, per non parlare di Claudio Carboni
al sax, dello straordinario Gabriele Mirabassi al clarinetto,
di Ettore Bonafè al vibrafopno e percussioni; del Quartetto
Ares agli archi. Il risultato? Uno spettacolo amabile e raffinato.
“
“ IL LISCIO VA IN CONSERVATORIO”
di Edoardo Fassio
da “TORINO SETTE” ( supplemento de LA STAMPA)
- 20 settembre 2002
“…
Il compositore, ricercatore e didatta pistoiese vive di una
preziosa continuità, fatta di passione e continuità
onnivore che lo hanno portato a scavare nelle tradizioni regionali
italiane, occitane, basche, inglesi, francesi, oltre che a confrontarsi
col jazz e coi bei nomi del pop d’autore – De André,
Fossati, Vanoni, Testa.[…] Rileggendo in maniera rigorosa
e spregiudicata classici plebei (La veronese, Valzer della povera
gente, Speranze perdute, Tango zingaresco…) si propone
di svelare il suggestivo impianto melodico, il virtuosismo strumentale,
le combinazioni timbriche e gli aspetti più affascinanti
di un genere musicale che, disdegnato dalla critica, ha fatalmente
sedotto intere generazioni di italiani”.
“CON
RICCARDO TESI IL BALLO LISCIO AL CONSERVATORIO”
di Marco Basso
da “LA STAMPA” - 20 settembre 2002
“Riccardo
Tesi, compositore, strumentista, ricercatore, è stato
tra i primi, col suo organetto diatonico a sguinzagliarsi alla
ricerca dei suoni più autentici e ruspanti della tradizione
toscana… Ciò che colpisce di tesi è lo stile,
riconoscibile, attraverso il quale riesce a far parlare all’organetto
una lingua arcaica e nuova, dilatando il vocabolario e la tecnica
di uno strumento relegato a lungo ad un folk considerato minore”.
INTERVISTA A RICCARDO TESI – “IL BALLO DI
RICCARDO TESI”
di Gianni Nuti
da SISTEMA MUSICA - Torino - Settembre 2002
Quali
mondi poetici emana l’organetto diatonico?
“E’ uno strumento povero, che si esprime con un
vocabolario naturale legato al ballo: i miei studi sull’organetto
conducono sempre verso il movimento e il primo disco all’inizio
degli anni Ottanta è dedicato alla musica da ballo dell’Italia
centrale. Anche se non suono per far ballare la gente: la mia
lingua è frutto di una ricerca personale che, pur partendo
dalla tradizione, tende a piegare l’organetto verso un
idioma più sfaccettato e moderno, che ha preso forma
anche grazie alle mie frequentazioni di ambiti musicali come
quelli del jazz e della canzone d’autore”.
Lei ha lasciato gli studi di psicologia per dedicarsi alla musica:
forse ha trovato in essa uno strumento di conoscenza e di indagine
migliore?
“Questa passione che si è trasformata casualmente
in una professione, ha senz’altro rappresentato un sistema
per coltivare il mio interesse per le persone, con le quali
ho scelto di parlare attraverso l’emozione, prima vissuta
poi trasmessa. E’ certo un modo per avere cognizione di
ciò che si è e manifestarlo, anche dolorosamente,
perché la creazione passa attraverso la fatica, è
minata dal dubbio e dalle delusioni”.
Ci racconti la genesi del progetto Ballo liscio.
“Il mio rapporto con il liscio è fondato su un
conflitto tra interesse per un fenomeno tutto italiano e diniego
per un genere che ha scalzato la nostra tradizione sporcandola
di elementi extramusicali molto kitsch, obsoleti. L’occasione
per approfondire il tema mi fu indotta dalla mia ex casa discografica
francese, la Filex che, sull’onda di rivalutazione della
musette – il pendant del liscio d’oltralpe -, m’incoraggiò
a fare lo stesso per l’Italia, con lo spirito disincantato,
senza freni e e stereotipi, di chi legge la storia dall’esterno.
La mia titubanza, rinforzata anche dalla scarsa adattabilità
di quel repertorio al mio strumento, si sciolse man mano che,
studiando, riuscii a individuare delle coordinate storiche alle
quali appigliarmi, e a trovare riscontro a una convinzione:
essendo musica italiana, da qualche parte ci dovevano essere
belle melodie. Decisi di immaginare il liscio come un catalizzatore
di diversi stili, ridando forma a questo blocco apparentemente
monolitico con tre impronte stilistiche diverse; etnica, jazz
e classica – incarnate da undici eccellenti strumentisti
– e scegliendo un taglio compositivo che coniugasse rigore
con spregiudicatezza. Visto il prodotto finito e raccolto un
inaspettato successo, alla mia diffidenza iniziale si sostituì
così un appagamento artistico convinto. Mi piace ricordare
che carlo Mazzacurati utilizzò questa musica ne La lingua
del Santo e a De André fu molto caro il nostro disco”.
Che cosa ha raccolto dai suoi molti viaggi musicali e umani?
“Dai viaggi ho imparato a mettermi in gioco e non partire
dall’idea che il mondo è quello che vedo io, ho
familiarizzato con le differenze, è cresciuto il mio
spirito di accoglienza e la disposizione all’ascolto:
si perdono molte idee proponendo sempre e energicamente le proprie.
Così ho fatto con la musica, cercando di acquisire disinvoltamente
temi e abiti dell’altro come fossero i miei, confrontandomi
con giudizi differenti sul bello”.
Partendo dalla sua esperienza sfacettata di musicista, che cosa
e come insegnerebbe alle nuove generazioni?
“Cercgerei un contenuto e una modalità. Partiamo
dal primo. Non c’è una musica, ma molte musiche,
ciscumna delle quali privilegia degli aspetti, richiede abilità,
effonde valori differenti: la classica presuppone conoscenze
profonde e perfezione tecnica, il jazz la capacità d’improvvisare,
il rock l’energia estrema. Per ciascun genere va portato
rispetto, tutti vanno studiati con identico rigore analitico.
La modalità: prima la pratica, poi la grammatica, partendo
da esperienze musicali vive osservate a posteriori”.
Il contatto con il pubblico delle sale da concerto rispetto
a quello delle piazze quali specificità presenta?
“E’ un grande privilegio suonare in sale acusticamente
ideali per fare e ascoltare musica”.
“
MI CONCEDE QUESTO BALLO?”
di Vincenzo Roggero
da “ LA PROVINCIA”
- 14 aprile 2002
“Un’orchestra
multietnica, composta da alcuni dei musicisti più rappresentativi
della scena folk, classica e jazz, rivisiterà con con
rigore misto a spregiudicatezza, le melodie e i ritmi che hanno
fatto danzare intere generazioni di italiani, dagli echi classici
di Carlo Brighi alle atmosfere bandistiche del Concerto Cantoni,
alle aperture jazzistiche di Gorni Kramer”.